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La servitù nei romanzi di Agatha Christie

Murder at the VicarageL’antipatia del lettore moderno per alcuni dei comportamenti sociali nei romanzi di Agatha Christie mi sembra avere maggior fondamento nel trattamento della servitù. Ogni calorosa comunità di sentimenti tra padrone e domestico, il vecchio ideale aristocratico di servizio e dovere reciprocamente accettato, è completamente assente nel mondo fittizio dell’autrice. Nella vita vera può aver provato affezione per i suoi domestici e in cambio essere stata da loro amata (prova di questo lo si trova nel volume La mia vita e anche nelle dichiarazioni di chi la conosceva), ma l’atteggiamento che adotta nei libri è molto diverso. I domestici nei suoi romanzi degli anni Venti e Trenta sono di solito derisi e visti con sospetto. Anche un anziano e stimato servitore di famiglia viene liquidato come persona “in possesso delle caratteristiche della sua classe” – una frase che nei romanzi ricorre con monotona regolarità, sempre con forti toni dispregiativi.

A subire il trattamento peggiore sono quelle al gradino più basso della scala sociale, le domestiche, che sono invariabilmente adenoidee, subnormali e inclini a ridere come sciocche. E ripetono con monotonia di essersi sempre comportate in modo rispettabile, e che non sanno cosa diranno mamma e papà perché anche loro si sono sempre comportati in modo rispettabile. Nel solo La morte nel villaggio troviamo tre esempi di domestica: la prima è Mary, la serva inetta della canonica, che il vicario-voce narrante cerca invano di convincere a chiamarlo “signore”; la seconda è la donna delle pulizie di Lawrence Redding, che lui descrive come “un po’ toccata”, benché il vicario gli spieghi con gentilezza che “questa è la difesa del povero… I poveri si rifugiano sempre dietro una maschera di stupidità”; la terza è Gladys, ragazza di cucina dell’Old Hall, descritta nel modo seguente:

…a suo parere somigliava più a un coniglio tremante che a un essere umano. Gli ci erano voluti dieci minuti per calmarla, durante i quali Gladys aveva spiegato, sempre tutta tremante, che non avrebbe potuto… che non avrebbe dovuto… che non avrebbe mai creduto Rose capace di tradirla, che non aveva inteso far nulla di male, proprio no davvero…

Esempi di situazioni di questo tipo si potrebbero ripetere fino alla nausea, e il maggiordomo strambo e dignitoso o il cuoco allegro difficilmente possono avere la meglio sull’impressione sgradevole che trasmettono. La domestica apparteneva alle classi più basse dell’epoca, eppure Agatha Christie non dimostra alcuna simpatia nei suoi confronti. La figura non viene trattata con divertito affetto ma proprio con disprezzo. In ogni caso, nessuno sosterrebbe che il rapporto padrone-servo in Agatha Christie sia profondo, trattato con intimità.

A Talent to DeceiveLe linee di difesa possibili sono svariate: la maggior parte delle osservazioni sarcastiche sulla servitù sono fatte da personaggi, e l’autrice potrebbe sostenere che si limitano a esprimere l’abituale comportamento della loro classe. Lo stesso Poirot, che si sente così superiore al gentiluomo borghese inglese semplicione, si dimostra, non con sorpresa, ancora più condiscendente nei confronti del servo maleducato. Ancora una volta, rendendo i suoi domestici così ottusi da risultare inconcepibili nel ruolo di assassini, Agatha Christie riesce a stringere di più la rete attorno ai personaggi di primo piano. Ma la difesa più efficace è forse che l’atteggiamento nei confronti della classe domestica è solo una conseguenza dello sguardo distaccato che lei, in quanto autrice, getta sulla totalità del suo mondo. Questo non ha nulla a che vedere con la sua personalità, che può benissimo essere stata calorosa e cortese, ma solo con la posizione che ha ritenuto opportuno adottare per il genere di libri che scriveva. “Dove c’è profondo affetto, non ci sarà nessun omicida”, o in ogni caso la progressione euclidea del problema, l’indagine e la risoluzione saranno intralciati. In un altro tipo di romanzi Agatha Christie potrebbe aver manifestato affetto palese, simpatia, sdegno per il destino dei domestici affaticati dal lavoro. In questo contesto, una simile emozione sarebbe stata fuori luogo. Appartenevano a una classe talmente bassa che ad andare a servizio erano solo elementi ben poco promettenti. Nella sua esperienza, le ragazze di cucina erano maleducate e incapaci di esprimersi, e quindi le rappresenta in questo modo. Così come i signorotti di campagna sono cauti, di strette vedute e tenaci e sono resi tali. Un romanzo giallo non è un romanzo rosa. Le emozioni vanno trattenute.
(Il presente frammento è tratto da Robert Barnard, A Talent to Deceive. An Appreciation of Agatha Christie, William Collins Sons & Co Ltd, London 1980, pp. 32-34. Traduzione mia)

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La morte nel villaggio (The Murder at the Vicarage)

Sintesi: Il parroco di St. Mary Mead, Leonard Clement, racconta al lettore la sua vita nel villaggio, il suo rapporto con la moglie Griselda, di vent’anni più giovane, e l’omicidio di cui si rende testimone: quello dell’odiato colonnello Lucius Protheroe il cui cadavere viene da lui stesso rinvenuto nel suo studio. Grazie all’aiuto dell’arzilla Miss Marple, che tutti gli abitanti del villaggio considerano una vecchietta incartapecorita con scarsa conoscenza del mondo e della natura umana, la verità verrà scoperta.

The Murder at the VicarageCuriosità:
1)
Il personaggio di Leonard Clement è presente anche nel romanzo C’è un cadavere in biblioteca ma, in quel caso, non è più il narratore della storia.
2) Il libro è dedicato alla figlia Rosalind che all’epoca era ancora una ragazzina.
3) Nel 1949 ne fu tratta una pièce in due atti, per l’adattamento di Barbara Toy e Moie Charles, interamente ambientata nello studio di Leonard Clement e con un finale diverso dal romanzo anche se il colpevole resta il medesimo. L’ambientazione non è più negli anni Trenta ma negli anni Quaranta.
4) È uno di quei romanzi di cui Agatha Christie non ricorda i dettagli di realizzazione:

La morte nel villaggio fu pubblicato nel 1930, ma della sua stesura non ricordo assolutamente niente, né dove, come, quando o perché io sia arrivata a scriverlo. Non ricordo nemmeno chi mi abbia suggerito di affidare il ruolo dell’investigatore all’inconsueta figura di Miss Marple. Allora non sapevo che anche lei, come Poirot, mi sarebbe rimasta appiccicata per tutta la vita.
(Agatha Christie, La mia vita, traduzione di Maria Giulia Castagnone per Mondadori, p. 508)

Il testo suscita un certo interesse dal punto di vista narrativo. Come afferma la studiosa Kathy Mezei in Spinsters, Surveillance, and Speech: The Case of Miss Marple, Miss Mole, and Miss Jekyll, pubblicato in Journal of Modern Literature, Vol. 30, No. 2 (Winter, 2007), pp. 103-120, ancora una volta, esattamente come accadde in L’assassinio di Roger Ackroyd, Agatha Christie gioca con i lettori e cerca di sviare la loro attenzione dall’elemento veramente importante.
La scelta di affidare la narrazione a Leonard Clement, anziché a Miss Marple stessa, fa sì che il lettore venga indotto a credere che la visione del parrocco sia più affidabile di quella della vecchina, mentre in realtà è esattamente il contrario. Inoltre, i numerosi appellattivi, ben poco lusinghieri, riferiti a Miss Marple – “vecchia strega”, “vecchia zitella”, “vecchio rudere” – contribuiscono a insinuare nella mente del lettore l’idea di trovarsi di fronte alla classica donna in età avanzata, pettegola e impicciona, destinata a veder smentite tutte le sue teorie.
L’ambientazione della storia permette inoltre di immergersi in un’atmosfera in cui tutti spiano tutti e finiscono per esprimere giudizi sugli altri basandosi esclusivamente sulle apparenze e sui pettegolezzi. Anche Miss Marple ammette candidamente di impicciarsi degli affari altrui mentre si occupa del giardino:

“Vivendo così soli, in una parte del mondo quasi remota, è necessario avere un passatempo. Ci si può occupare naturalmente dei lavori a maglia, delle ragazze esploratrici, delle opere di assistenza, come ci si può divertire a dipingere dei bozzetti, ma il mio passatempo è sempre stato la Natura Umana. Così varia e così… affascinante! E naturalmente in un piccolo villaggio, senza altre distrazioni, non manca il modo di approfondire questo studio. Si finisce per classificare le persone proprio come se fossero uccelli, fiori: gruppo così e così, genere tale, specie talaltra. Qualche volta capita, naturalmente, di sbagliare, ma col passare del tempo gli errori sono sempre meno frequenti”.
(La morte nel villaggio, traduzione di Giuseppina Taddei per Mondarori, 1934, p. 249)

Riferimenti intertestuali:

The Murder at the Vicarage1) Riferimento allo scrittore inglese G.K. Chesterton (1874-1936) e allo stile dei suoi romanzi:
“Però non ho verificato la mia ipotesi”, proseguì Lawrence, “perché mi è venuto in mente di andare prima da Miss Marple ad assicurarmi che nessuno era passato dal viottolo ieri sera, mentre noi eravamo nello studio”.
Scossi la testa.
“Ha già affermato che non è passato nessuno”.
“Nessuno che lei chiami qualcuno. Sembra un gioco di parole, ma lei capisce quello che voglio dire. Potrebbe aver visto passare, che so, il portalettere, il lattaio, il ragazzo del macellaio… qualcuno la cui presenza fosse tanto naturale da non farle pensare che fosse necessario riferirla”.
“Lei ha letto G.K. Chesterton”, dissi io, e Lawrence non lo negò.
(La morte nel villaggio, traduzione di Giuseppina Taddei per Mondarori, 1934, p. 155)

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