Lo studioso H.R.F. Keating, curatore del volume First Lady of Crime, nel primo paragrafo dell’introduzione afferma quanto segue: “Agatha Christie era un fenomeno. Prese una forma abbastanza semplice di intrattenimento, che all’epoca godeva di una discreta popolarità, e sfruttandola si costruì un nome conosciuto dalla Cina (dove le facevano la morale in modo alquanto puritano) al Nicaragua (dove misero il volto di Poirot su un francobollo), vendendo, nel far questo, più libri di quanti chiunque sia in grado di contare, venendo tradotta in almeno centotré lingue (quattordici in più rispetto alle traduzioni delle opere di Shakespeare), componendo una pièce replicata sui palcoscenici di Londra più a lungo di qualsiasi altra opera drammaturgica, diventando (grossolanamente parlando per un istante) la più ricca scrittrice che la Gran Bretagna abbia mai avuto, passando agilmente da una generazione all’altra e infine portando alla sua arte, nel 1971 quando fu nominata Dama dell’Impero Britannico, lo stesso rispetto che Sir Henry Irving, nominato cavaliere, portò a quei mascalzoni di attori. Era senza dubbio la First Lady del crimine”.
Come ci è riuscita? Agatha Christie non era una scrittrice eccezionale. Le sue trame, malgrado l’incredibile ingegnosità, erano notevolmente improbabili (tutti quei sospettati e vittime radunati in un contesto arbitrario). Non vi era nulla di esotico o romantico nelle sue ambientazioni: si atteneva alle accoglienti case di campagna inglesi medio borghesi e ai villaggi in cui lei stessa aveva vissuto buona parte della sua vita. Il detective eroe dei suoi romanzi, il belga Hercule Poirot, era una figura di cartapesta che, come qualcuno ha sottolineato, utilizzava il francese solo per alcune frasi semplici e l’inglese per i ragionamenti più complessi (sono disposto ad ammettere che Miss Marple era una creazione più interessante e originale).
La risposta, come specificato nei contributi dei numerosi autori di questo libro, risiede nel fatto che il tipo di detective fiction che Agatha Christie padroneggiava con immenso talento e successo non si può realmente definire una branca letteraria ma piuttosto una forma di puzzle – più simile alle parole crociate e ai giochi a incastro – . Le persone li apprezzano per la loro ingegnosità e gli indizi accuratamente nascosti alla pari di un cruciverba diabolico ma ingegnoso, e non sono minimamente deluse dalla mancanza di credibilità o competenza letteraria. Come creatrice di puzzle, Agatha Christie aveva pochi rivali, anche se alcuni lettori lamentavano il suo giocare non sempre pulito.
Personalmente, non do molta importanza ai puzzle e il genere di detective fiction di cui si occupava Agatha Christie non è di mio gusto. Sono ben disposto a sospendere la mia incredulità e ad accettare l’improbabile ma solo se l’autore mi offre qualcosa in cambio – personaggi intensi, descrizioni intelligenti, dialoghi arguti e avvincenti. In modi diversi, Georges Simenon e Raymond Chandler hanno dimostrato che la detective story può essere convertita in letteratura. Agatha Christie non ci ha nemmeno provato.
È interessante confrontare Agatha Christie con Sir Arthur Conan Doyle, che invece è oggetto della nuova biografia di Ronald Pearsall A Biographical Solution. Le storie di Sherlock Holmes sono anche meno realistiche di quelle di Agatha Christie. Alcune sono addirittura del tutto assurde. Tuttavia, Sherlock Holmes è un personaggio molto più interessante di Poirot o Miss Marple. È pieno di vita fin dalla sua prima apparizione e risulta convincente nella sua profonda intelligenza e singolarità.
Anche Sir Arthur Conan Doyle non può definirsi un maestro della letteratura, però scriveva meglio di Agatha Christie. Quando quest’ultima descriveva una casa in Addio, Miss Marple il risultato era il seguente: “Anstell Manor era una costruzione bianca, e il suo sfondo un paesaggio desolato di colline brulle. Attraverso i fitti cespugli, si snodava un viale tortuoso”. È soddisfacente, ma monotono. Sir Arthur Conan Doyle, per descrivere il numero 3 di Lauriston Gardens in Uno studio in rosso, utilizzava invece queste parole: “Il n. 3 di Lauriston Gardens aveva un aspetto di malaugurio. Faceva parte di un gruppo di quattro stabili alquanto arretrati rispetto alla via. Due erano abitati e due non lo erano. Questi ultimi guardavano con tre file di finestre smantellate e melanconiche verso Lauriston Gardens. Qua e là, in quegli occhi rettangolari e appannati, spiccava, come una cataratta il cartello “Affittasi””. Questo è eccellente. Come giustamente sottolinea Ronald Pearsall, molto spesso Conan Doyle fornisce ottime descrizioni di Londra.
Sia Agatha Christie che Sir Arthur Conan Doyle ebbero problemi con i loro personaggi e nessuno dei due si dimostrò costante. Agatha Christie si stufò ben presto di Poirot – a cui preferiva Miss Marple – ma fu costretta a portarlo avanti fino al 1974 per soddisfare le richieste dei suoi lettori ed editori. Secondo Keating, in un divertente saggio sul detective belga, siccome l’investigatore risultava essersi ritirato dalla polizia nel 1904, nel 1974 doveva avere almeno centotrent’anni. Conan Doyle, che ci teneva ad avere fama di scrittore impegnato, uccise avventatamente Sherlock Holmes nel 1893 per poi farlo risorgere – in modo poco convincente – nel 1904, quando gli furono offerti cinquemila dollari da un editore americano. Sia Poirot che Sherlock Holmes condividevano tuttavia due caratteristiche che esigono il nostro rispetto in questi giorni di decadenza: credevano con convinzione nel potere della ragione ed erano fermamente e categoricamente contrari al delitto. “Ho una reazione molto borghese davanti al delitto”, afferma Poirot in Carte in tavola, “lo disapprovo”.
(Articolo tratto dal quotidiano australiano The Sydney Morning Herald, 25 giugno 1977. L’autore è John Douglas Pringle. La traduzione è mia)