Le porte di Damasco di Agatha Christie e il problema delle traduzioni

Postern of fateCapita spesso, nella vita di tutti i giorni, di porsi un obiettivo e poi, per un motivo o per l’altro, di ritrovarsi a perseguirne uno totalmente diverso. È quanto è capitato a me, in questo periodo, durante la lettura del romanzo di Agatha Christie Le porte di Damasco. L’idea di partenza era quella, oltre che di godersi la lettura, di evidenziare i diversi riferimenti intertestuali contenuti nell’opera. Invece, mi sono ritrovata, per l’ennesima volta a dover “litigare” con la traduzione italiana.

Le porte di Damasco può essere definito uno dei romanzi minori della Christie, in quanto non ha per protagonisti Hercule Poirot o Jane Marple, molto più noti al pubblico italiano, ma la coppia di investigatori, nonché marito e moglie, Tommy e Tuppence Beresford. Quest’opera è la quinta, e ultima, della serie che li riguarda e una delle più divertenti e spensierate. Il problema, tuttavia, non è per l’appunto costituito da Tommy e Tuppence o dalla storia, ma dal modo discutibile in cui è stata realizzata la traduzione.

Vivo da tempo con la consapevolezza che la cosiddetta letteratura disimpegnata non merita, per certi editori, lo stesso rispetto riservato alla letteratura alta. Però, chissà perché, mi illudevo che un giorno, magari di questo 2015, le numerose riedizioni dei volumi di Agatha Christie avrebbero raggiunto la tanta agognata perfezione. E con perfezione non intendo una fedeltà di traduzione millimetrica, ma il rispetto del testo dell’autrice e, soprattutto, il rispetto dell’autrice stessa. Invece no. Mi sono trovata di fronte a un’altra di quelle scelte editoriali in conseguenza delle quali i riferimenti intertestuali vengono o eliminati, o modificati o nemmeno colti nel loro significato.

È cosa nota che gli editori odiano, per principio, gli elenchi e le citazioni. E questo perché pensano: “Se il lettore si trova davanti un elenco, inizia ad annoiarsi e la lettura perde di scorrevolezza”. Certo. Però io reclamo il diritto supremo del lettore di decidere se leggersi l’elenco o saltarlo a piè pari. Perché a nessuno è mai passato per la testa di omettere gli elenchi presenti nel Nome della rosa di Umberto Eco, in particolare la lunghissima descrizione del portone della chiesa davanti al quale Adso va quasi in estasi ma la maggior parte dei lettori proprio no? Perché fanno parte dello stile del romanzo e ometterli significherebbe rovinarlo. Ecco. Invece, appena Agatha Christie inizia un elenco, nella traduzione automaticamente salta. Questo perché si suppone che tale lista non abbia uno scopo preciso se non quello di tediare il lettore. E qui casca l’asino; perché gli elenchi stilati dalla Christie, e non sono molti nella vastità della sua opera, hanno quasi sempre un legame con la sua vita:

I libri di fiabe avevano una parte molto importante nella mia vita. Zia-nonnina me li regalava abitualmente per il mio compleanno e a Natale. The Yellow Fairy Book, The Blue Fairy Book, ecc. Io li amavo molto e li leggevo senza mai stancarmi. C’era anche una raccolta di storie di animali, sempre di Andrew Lang, tra cui quella di Androclo e il Leone, che mi piacevano molto.
Suppergiù in quel periodo iniziò il mio lungo rapporto con la signora Molesworth, l’importante scrittrice di libri per bambini. Questi libri mi hanno accompagnato per molti anni e, quando li ho riletti in età adulta, mi sono sembrati molto buoni. Probabilmente i bambini d’oggi li troverebbero antiquati, ma le storie che raccontano sono ben costruite e colorite. C’erano Carrots, Just a Little Boy e Her Baby per i piccolissimi, e altre fiabe di vario genere. Ancor oggi posso rileggere The Cuckoo Clock e The Tapestry Room. Quello che preferivo, Four Winds Farm, adesso lo trovo molto noioso e mi chiedo come potesse piacermi tanto.
(Agatha Christie, La mia vita, traduzione di Maria Giulia Castagnone, Arnoldo Mondadori Editore, 1978, pp. 59-60)

Postern of fateNel caso del succitato Le porte di Damasco, i libri elencati sono proprio i testi da lei menzionati nella sua autobiografia e a cui era molto affezionata:

“Well, as I said, when I thought of reading ‘Androcles and the Lion’ again – it came in a book of stories about animals, I think, by Andrew Lang – oh, I loved that. And there was a story about ‘A day in my life at Eton’ by an Eton schoolboy. I can’t think why I wanted to read that, but I did. It was one of my favourite books. And there were some stories from the classics, and there was Mrs. Molesworth, The Cuckoo clock, Four Winds Farm…”
“Well, that’s all right,” said Tommy. “No need to give me a whole account of your literary triumphs in early youth”.
“What I mean is”, said Tuppence, “that you can’t get them nowadays. I mean, sometimes you get reprints of them, but they’ve usually been altered and have different pictures in them. Really, the other day I couldn’t recognize Alice in Wonderland when I saw it. Everything looks so peculiar in it. There are the books I really could get still. Mrs. Molesworth, one or two of the old fairy books – Pink, Blue and Yellow – and then, of course, lots of later ones which I’d enjoyed. Lots of Stanley Weyman’s and things like that. There are quite a lot here, left behind”.
(Agatha Christie, Postern of Fate, HarperCollins 1973, pp. 6-7)

La traduzione italiana, in compenso, è questa:

“Sì. Oltre alla storia di Androclo e il leone ho trovato un’altra delle mie letture preferite, un romanzetto, A scuola a Eton. Poi ci sono Il giardino segreto e La principessa povera della Hodgson Burnett”.
“Non elencarmi tutti i miti che porti con te dall’infanzia”.
“Sono volumi che ormai è difficile trovare. Nelle ristampe il testo è spesso tagliato e le illustrazioni sono diverse. Alice nel paese delle meraviglie è diventato irriconoscibile. Invece, qui ho trovato due o tre vecchie raccolte di fiabe che sono…”
(Agatha Christie, Le porte di Damasco, traduzione di Luciana Crepax, Arnoldo Mondadori Editore, 1986, p. 7)

La domanda che mi pongo è: il testo di cui sopra cos’è? una traduzione? un adattamento? un colpo di forbici? Posso giustificare il fatto che la scrittrice britannica Mary Louisa Molesworth (1839-1921) venga sostituita dalla più nota in Italia Frances Hodgson Burnett (1849-1924) che, in fondo, è pur sempre di origine britannica e risale allo stesso periodo, ma lo scozzese Andrew Lang (1844-1912) e il britannico Stanley Weyman (1855-1928) che fine fanno? Evidentemente non meritavano l’attenzione dell’editore.

La situazione diventa ancora più paradossale nel capitolo dieci intitolato Introduction to Mathilde, Truelove and KK. Il motivo di un simile titolo ce lo spiega, ancora una volta, Agatha Christie stessa nella sua autobiografia:

“Nei giorni di pioggia, invece, c’era Mathilde. Mathilde era un grande cavallo a dondolo che era stato regalato ai miei fratelli nel periodo in cui erano vissuti in America. Trasportato in Inghilterra, si era ridotto l’ombra di se stesso, senza più criniera, senza più vernice, senza più coda, ed era stato relegato in una piccola serra, addossata alla casa, niente a che vedere con la serra vera e propria, una costruzione pretenziosa, zeppa di vasi di begonie, gerani, felci di ogni tipo e in cui c’erano persino alcune grandi palme. La serra piccola, chiamata chissà perché K.K. (forse Kai Kai?) era priva di piante e ospitava, invece, mazze da croquet, cerchi, palle, sedie da giardino rotte, vecchi tavoli di ferro dipinto, una rete da tennis bucata e, infine, Mathilde. […]
Mathilde aveva un compagno, Truelove, anch’esso di origine transatlantica. Truelove era un cavallino dipinto a cui era attaccato un carretto a pedali, ma il meccanismo era stato fermo troppi anni per funzionare”.
(Agatha Christie, La mia vita, traduzione di Maria Giulia Castagnone, Arnoldo Mondadori Editore, 1978, p. 63)

Agatha Christie - la mia vitaIn Introduction to Mathilde, Truelove and KK i tre oggetti entrano a far parte dell’intreccio del romanzo e del mistero sul quale Tuppence sta indagando:

“Ah, you mean that there, do you?”
Tuppence said yes, she did mean that there.
“Kay-kay”, said Isaac.
Tuppence looked at him. Two letters of the alphabet such as KK really meant nothing to her.
“What did you say?”.
“I said KK. That’s what it used to be called in old Mrs. Lottie Jones’s time”. […]
“Is it just two letters?”.
“No. I think it was something different. I think it was two foreign words. I seem to remember now K-A-I and then another K-A-I. Kay-kay, or Kye-kye almost, they used to say it. I think it was a Japanese word”.
“Oh,” said Tuppence. “Did any Japanese people ever live here?”.
“Oh no, nothing like that. No. Not that kind of foreigner”. […]
Mathilde was a rather-splendid looking horse even in decay. […] “Ah, they loved that, you know. Miss Jenny, she used to ride it day after day”. “Who was Miss Jenny?”. “Why, she was the eldest one, you know. She was the one that had the godfather as sent her this. Sent her Truelove, too”.
(Agatha Christie, Postern of Fate, HarperCollins 1973, pp. 56-58)

Nella traduzione italiana non solo non viene rispettato lo scambio di battute ma Truelove e KK diventano Paloma e Caaba. La conseguenza è che si perde il riferimento all’infanzia dell’autrice e si distrugge, senza un motivo logico, la magia di quell’atmosfera. La civiltà giapponese lascia spazio a quella araba e quindi il lettore italiano si trova di fronte a una “bella” Caaba (ossia cubo) che ha anche un significato religioso ma che, in questo contesto, non c’entra nulla:

“Sarebbe questa la serra?”
“Sì, perché?”
“Non è la serra, è la Caaba, la chiamava così la signora Lottie Jones”. […]
“Come si chiama, Caaba? Con la C, o con la K?”.
“Loro dicevano Caaba, come si scrive non lo so. Credo sia una parola araba”.
“Ci sono stati arabi, qui?”.
“No, stranieri sì, ce ne sono stati, ma non arabi”. […]
Mathilde era un bellissimo cavallo, quasi a grandezza naturale. Era molto sciupato […] “Come si divertivano i ragazzi! Miss Jenny ci passava le giornate”. “Chi era Jenny?”. “La maggiore. Il padrino l’aveva regalato a lei. E anche la Paloma”.
(Agatha Christie, Le porte di Damasco, traduzione di Luciana Crepax, Arnoldo Mondadori Editore, 1986, pp. 54-56)

La prima traduzione italiana di Le porte di Damasco risale al 1986, mentre l’originale è del 1973, ragion per cui, dal mio punto di vista, la casa editrice che detiene i diritti per l’Italia aveva tutto il tempo per rieditare il volume in una traduzione aggiornata. Evidentemente, il fatto che le opere dell’autrice inglese siano tra le più lette al mondo non è un motivo sufficiente per dimostrare, nei loro confronti, il rispetto che si meritano.

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